Secondo quanto emerge dal Reparto di Broncopneuumologia dell’Ospedale Pediatrico Bamnino Gesù un bambino su 5 tra quanti accedono all’ambulatorio soffre di problemi legati al fumo di sigaretta passivo.

Anche il fumo passivo (o di seconda mano come viene definito in Inghilterra) costituisce un problema. Studi condotti in Italia hanno dimostrato che il 52% dei bambini nel secondo anno di vita è abitualmente esposto al fumo passivo.

«Accanto al fumo attivo e passivo, di ‘prima’ e ‘seconda mano’ – spiega Renato Cutrera, responsabile dell’Unità di Bronco-Pneumologia del Bambino Gesù – esiste anche quello di ‘terza mano’: vale a dire quello di cui si impregnano gli abiti del fumatore. E’ il caso di una madre che si accende una sigaretta sul balcone di casa, così da non viziare l’ambiente domestico. Lì per lì evita l’inquinamento ‘passivo’, ma poi rientra nell’appartamento con i vestiti impregnati, prende in braccio il suo bambino e gli fa comunque respirare sostanze tossiche. Non è così semplice cercare di sensibilizzare le famiglie anche nei confronti di quest’ultimo aspetto». Massima allerta anche per il fumo in gravidanza: «E’ dimostrato che in caso di madri fumatrici, il peso del bambino alla nascita è inferiore rispetto a quello dei figli di madri non fumatrici».

Tra i neonati, il fumo passivo si rivela anche un importante fattore di rischio della “SIDS” (Sudden Infant Death Syndrome) meglio conosciuta come la “morte in culla”, ovvero il decesso improvviso ed inaspettato di un lattante inferiore all’anno di vita senza cause accertate. Fonte: Ospedale Pediatrico Bambino Gesù

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La cura dei bambini, quindi, passa anche attraverso l’impegno dei genitori a cambiare delle abitudini,  in questo caso il fumo.   Infatti non è sufficiente proteggere i bambini dai “pericoli all’esterno” se non c’è un’adeguata protezione anche all’interno della famiglia.

Di: Letizia Mannino

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