Introduzione alla “teoria dell’attaccamento”

di Letizia Mannino

Il legame fra il bambino e le figure adulte che se ne prendono cura rappresenta un tema di grande interesse per la psicologia dello sviluppo; in particolare negli ultimi decenni è stata posta una crescente attenzione al ruolo che questo rapporto può rivestire nelle diverse fasi dello sviluppo e nel plasmare la capacità di costruire relazioni.

Il primo importante contributo a questo ambito di ricerca si deve a John Bowlby con la teoria dell’attaccamento.

Inizialmente gli studi di Bowlby si sono orientati verso la relazione madre-bambino e successivamente, grazie anche al contributo dei suoi collaboratori, si sono ampliati a tutte le figure che hanno una relazione significativa con questo: quindi non necessariamente né esclusivamente la madre.

Per illustrare questa teoria può essere utile un episodio che descrive una ipotetica scena di interazione, in questo caso,  madre-bambino: una madre seduta su una panchina di un parco e il suo bambino di 4 anni  che gioca magari con la palla. Non appena il bambino acquista fiducia e si familiarizza con il contesto, ecco che inizia ad allontanarsi gradualmente dalla madre, ma controllando, di tanto in tanto, con lo sguardo la presenza di quest’ultima. L’arrivo di una persona sconosciuta, o un rumore improvviso, lo fanno correre verso di lei per cercare rassicurazione e protezione.

L’episodio mostra come il bambino utilizza il contatto anche solo visivo della madre come via libera per poter esplorare l’ambiente circostante. Se voltandosi a guardare la madre vedesse una espressione del volto preoccupata, o la madre si fosse allontanata o ancora distratta a parlare con qualcuno, il bambino potrebbe interrompere la sua esplorazione; è come se la madre avesse un effetto rassicurante a distanza.  Questa funzione della relazione di attaccamento è stata definita “base sicura”.

Ques’ultimo concetto è importante in quanto, affinché una relazione possa essere considerata un legame di attaccamento il bambino deve sentire che l’adulto è una sorta di “porto” in cui potersi riparare (che quindi riesce ad avere una funzione di rassicurazione) in caso di un pericolo esterno e/o perché emergono emozioni come la paura o un bisogno di vicinanza.

Con la crescita del bambino la relazione di attaccamento diventa via via più sofisticata spostandosi da un piano di tipo fisico e spaziale (bisogno di vicinanza fisica)  a uno relazionale (vicinanza emotiva).

Gli studi condotti ad oggi sembrano mostrare che la relazione di attaccamento costituisce una sorta di modello per le successive relazioni che il bambino stabilirà con altre figure durante le diverse fasi dello sviluppo fino all’età adultà.

Questa funzione di modello non va presumibilmente intesa in senso statico e deterministico. Infatti con la crescita le figure che assumono un ruolo significativo possono sia variare che aumentare di numero facilitando quindi nuove esperienze relazionali. Si pensi, ad esempio, all’importanza che possono rappresentare alcuni insegnanti nello sviluppo dell’autostima dei ragazzi.

Nei prossimi articoli si proseguirà a parlare dell’attaccamento nell’infanzia, nelle diverse fasi della vita e come, in età adulta, può essere interessato nella relazione di coppia.