La relazione di attaccamento adulto-bambino nell’infanzia

di  Letizia Mannino

Lo studio del rapporto tra la qualità del legame del bambino con l’adulto che ne ha cura e lo sviluppo emotivo, relazionale e cognitivo del primo costituisce un tema di grande interesse per la psicologia dello sviluppo, la psicologia clinica, la psicopatologia, e in altri ambiti.

John Bowlby, con la ‘teoria dell’attaccamento’, è stato l’iniziatore e il principale teorico del filone di ricerche sull’argomento.  Tali studi, però, hanno dato un contributo molto importante non solo alla conoscenza del processo di sviluppo del bambino ma altresì hanno permesso una maggiore comprensione dell’andamento delle relazioni affettive e sentimentali, delle capacità di adattamento degli individui ai loro contesti di vita e dei fattori che contribuiscono a sviluppare la resilienza; inoltre alcuni filoni di ricerca hanno indagato specificamente il rapporto fra attaccamento e sviluppo dei processi cognitivi.

Nell’ambito delle sue osservazioni sullo sviluppo del bambino Bowlby attribuisce un ruolo centrale alle caratteristiche del rapporto con la persona che si prende cura di lui. Il cosiddetto ‘legame di attaccamento’, infatti, fungerà da modello per le successive relazioni che il bambino costruisce con altre figure durante tutto l’arco dello sviluppo, fino all’età adulta.  L’individuo, quindi, viene visto fin da subito in un contesto di  relazioni con gli altri; le caratteristiche delle interazioni che l’infante ha con le figure vicine contribuiscono sia alla costruzione della identità personale che alla maturazione della capacità di instaurare relazioni. Generalmente la figura principale di attaccamento è la madre ma, come hanno messo in evidenza successivi ampliamenti della teoria, possono essere anche altre persone.

Per Bowlby con legame o relazione di attaccamento si fa riferimento a una relazione preferenziale fra adulto e bambino volta al mantenimento della sicurezza e della protezione, e deve presentare tre specifiche caratteristiche: che il bambino ricerchi la vicinanza dell’adulto per sentirsi sicuro; che il bimbo senta l’adulto di riferimento come una ‘base sicura’, cioè come una sorta di ‘porto’ dove rifugiarsi in caso di pericolo e da cui ripartire appena le condizioni esterne (ambiente) e interne (emotive) lo permettono; che, infine, siano presenti comportamenti di protesta alla separazione dalla figura di attaccamento.

Nella costruzione del legame di attaccamento è possibile individuare orientativamente quattro fasi.

Le prime due fasi da 0 a 6-8 mesi sono definite  pre-attaccamento. Inizialmente il bambino si orienta verso qualsiasi adulto che gli si avvicina o ha cura di lui.  Gradualmente comincia a discriminare le diverse figure e stabilisce una relazione più orientata verso una figura specifica, in genere la madre. Il bambino sorride più frequentemente alla vista della mamma e si calma più facilmente se viene preso in braccio da lei piuttosto che da un altro adulto. In questo periodo rivestono particolare importanza due aspetti dell’interazione adulto-bambino: la reciprocità dello sguardo e la capacità dell’adulto di dare sostegno e contenimento al bambino dal punto di vista emotivo (ad es. calmare il pianto) e psicofisiologico (soddisfare e accompagnare i bisogni come la fame, il sonno).

Nel periodo che va dal sesto-ottavo mese fino al secondo anno di età circa, ha inizio la fase di attaccamento vera e propria caratterizzata dalla ricerca dell’adulto di riferimento. In questo periodo compaiono due aspetti importanti: la protesta alla separazione dalla figura di attaccamento e la paura degli estranei. La comparsa di questi comportamenti segnala che si è instaurato un vero e proprio legame di attaccamento. Questa evoluzione è possibile grazie alla maturazione di alcune abilità del bambino che gli permettono di mantenere una rappresentazione mentale degli oggetti (e delle persone) anche in loro assenza.

Il bambino ora riesce a discriminare fra i diversi adulti, a mantenersi adeguatamente vicino alla figura di attaccamento e protesta per richiamare la sua attenzione quando si sente in pericolo. In questa fase il bambino comincia anche a sviluppare la capacità di prevedere i comportamenti della figura di riferimento e inizia a prendere avvio una relazione che, in particolare se l’adulto è adeguatamente presente, diventa reciproca. In questo modo, il bambino e l’adulto costruiscono delle aspettative l’uno nei confronti dell’altro al punto che, se queste vengono disattese, entrambi (anche se in misura diversa)  avvertono ansia e angoscia.

Nell’ultima fase il rapporto di reciprocità si affina ulteriormente e diviene più complesso. Adesso il bambino è in grado di considerare la figura di attaccamento come indipendente da sé e persistente nello spazio e nel tempo. Inoltre è in grado di formulare delle ipotesi circa i motivi dell’allontanamento del genitore e di influenzarlo con i propri comportamenti.

Sempre nell’ultima fase inizia la costruzione delle rappresentazioni mentali di sé e dell’altro che costituiscono l’aspetto interiorizzato dell’attaccamento e contribuiscono quindi all’itinerario che prenderanno le successive relazioni.

Riassumendo possiamo dire che la relazione di attaccamento ha lo scopo di fornire al bambino una adeguata protezione senza però limitare l’esplorazione; esperienza quest’ultima fondamentale per la crescita emotiva e cognitiva. Risulta quindi importante che la relazione di attaccamento sia caratterizzata da un equilibrio fra protezione e incoraggiamento all’esplorazione.

Ma cosa accade nella vita di tutti i giorni? Non sempre il bambino trova un genitore, o un altro adulto, in grado di fornirgli un adeguato senso di sicurezza e protezione.

Riprendendo l’esempio già citato del bambino che gioca con la palla in un parco mentre la mamma è seduta in una panchina (vedi ‘Introduzione alla teoria dell’attaccamento’), immaginiamo che mentre il bambino sta giocando veda avvicinarsi una persona con un cane e spaventato cerchi di richiamare l’attenzione della madre. Se la madre risponde prontamente tranquillizzandolo probabilmente il bambino riprenderà a giocare fiducioso circa il fatto che la madre interverrà se dovesse presentarsi un pericolo. Se invece la madre reagisce infastidita, rimproverandolo di essere pauroso, è possibile che il bambino intensifichi i tentativi di richiamare la sua attenzione mettendosi a piangere o anche ad urlare; rischiando tra l’altro di innervosire ulteriormente la madre.  Al contrario, il bambino, non riuscendo a richiamare la madre, potrebbe riprendere la sua attività ma con un senso interiore di paura.

In quest’ultimi due casi possiamo dire che l’adulto non ha svolto una funzione di ‘base sicura’, come avviene invece nel primo comportamento in cui la madre accoglie la paura del bambino e lo tranquillizza facendo sì che questo ritrovi una sorta di equilibrio interno e possa riprendere l’attività.

Per comprendere queste diverse dinamiche relazionali Mary Ainsworth e collaboratori hanno messo in atto una procedura di valutazione, denominata Strange Situation, finalizzata all’osservazione delle differenze individuali della relazione di attaccamento nella prima infanzia. La Strange Situation consiste in 8 brevi episodi in cui il bambino viene sottoposto ad alcune situazioni di crescente impegno emotivo per valutare la reazione alla separazione e al ricongiungimento con la madre (o di un’altra figura di attaccamento), i comportamenti di esplorazione, l’atteggiamento in presenza di un estraneo. Secondo la Ainsworth le reazioni mostrate dai bambini sottoposti all’osservazione possono essere classificate in tre categorie di attaccamento: sicuro (B), insicuro-evitante (A), insicuro-ambivalente (C). Il bambino con attaccamento sicuro gioca serenamente se la madre è vicina, la sente come una ‘base sicura’ e questo gli permette di esplorare l’ambiente e di mostrare interesse anche per persone non conosciute; il bambino evitante non si tranquillizza con la vicinanza della madre né sembra risentire della sua lontananza, appare quasi ‘indifferente’. Il bambino ambivalente, invece, appare molto turbato dalle situazioni nuove. Ricerca la madre ed evita l’esplorazione dell’ambiente ma al momento del ricongiungimento oscilla tra una ricerca di contatto e di riluttanza verso lo stesso.

Mary Ainsworth e collaboratori mettono in correlazione le differenze qualitative nel tipo di attaccamento mostrato dai bambini con l’atteggiamento delle madri nella relazione di accudimento. Si può dire che nel caso della relazione di attaccamento di tipo sicuro (B) il genitore, la madre, svolge una funzione di ‘base sicura’. Il bambino sembra avere interiorizzato un sentimento di fiducia nei confronti della presenza e disponibilità affettiva del genitore e questo gli permette anche la possibilità di esplorare maggiormente l’ambiente.

Nel caso invece dello stile di attaccamento insicuro evitante (A) e insicuro ambivalente (C) il genitore non è riuscito a svolgere una funzione di base sicura. Nel primo caso è come se si fosse creato uno sbilanciamento verso l’esplorazione. Il bambino mostra un comportamento autonomo e di autosufficienza nei confronti del genitore; come se il bambino non sentendolo come ‘base sicura’ non facesse particolare affidamento su di lui ma cercasse piuttosto di caversela da solo. Nel caso invece dello stile di attaccamento insicuro ambivalente è come se lo sbilanciamento si verificasse verso la ricerca di protezione. Il bambino ha difficoltà ad esplorare e tende a ricercare la figura della madre, del genitore, mostrando un atteggiamento più dipendente. Ma poiché anche in questo caso l’adulto non sembra essere percepito come una ‘base sicura’ la ricerca di vicinanza non risulta efficace nel tranquillizare il bambino. Anzi quest’ultimo mostra una sorta di ambivalenza perché ricerca il genitore ma contemporaneamente è come se lo ‘respingesse’.

Successivamente ai lavori della Ainsworth,  ulteriori  studi sulla relazione di attaccamento  hanno portato ad un ampliamento della classificazione degli stili relazionali.

Inoltre, molti studiosi dell’argomento ritengono che non ci sia uno stile di attaccamento migliore degli altri ma che tutti, in base al contesto di riferimento, possano risultare adattivi.

Quale che sia la posizione assunta sull’argomento c’è una concordanza di massima circa il fatto che allo stile di attaccamento corrisponde una sorta di stile relazionale che fungerà come ‘traccia’ per le relazioni successive.

Tutt’ora sono in corso studi e approfondimenti sull’argomento perché, a prescindere dalle classificazioni degli stili di attaccamento individuate, l’osservazione del legame tra il bambino e le figure che ne hanno cura si è rivelata proficua sia per la comprensione dei processi di sviluppo emotivo e cognitivo che della psicopatologia degli individui e delle relazioni.

Si tratta anche di capire meglio cosa accade quando, come si verifica sempre più di frequente ai giorni nostri, un bambino ha più figure che lo accudiscono, e come queste concorrono a creare uno stile relazionale e un senso di sicurezza più o meno adeguato.

E’ possibile che una ricchezza di relazioni possa aumentare le probabilità che, laddove le figure genitoriali non possano svolgere un’adeguata funzione di ‘base sicura’, il bambino possa trovare nei parenti o in un altro adulto, una figura sostitutiva che svolga una sorta di funzione vicaria nel processo di attaccamento; come sarebbe auspicabile che accada nelle adozioni e negli affidi.