Tutti gli articoli di Letizia Mannino
La società senza genitori…
Interessante da leggere l’intervista di Polito al prof. Ammaniti e pubblicata dal Corriere della Sera, dal titolo ‘Violenze e social, ecco la società senza genitori”; affronta una serie di temi importanti sull’educazione e la nostra società partendo anche dagli episodi di maltrattamento verso bambini molto piccoli che di recente sono apparsi sui quotidiani.
Un primo tema affrontato è la scarsa natalità. Per i dati Istat nel 2016 il 34% delle famiglie italiane non ha figli e del 66% delle famiglie con figli il 46 % ne ha uno solo. Quindi nel tempo è venuta meno l’esperienza dei fratelli e delle sorelle.
Un altro tema importante è quello della iperstimolazione che costituisce l’altra faccia dell’abbandono. Il Professor Ammaniti parla di ‘protesi educative’ segnalando il problema di intrattenere troppo precocemente i bambini con tablet o altri strumenti. Completamente diversa l’esperienza di un bambino che va a dormire con una storia letta dai genitori.
E ancora nell’intervista viene affrontato il tema attuale della difficoltà mettersi nei panni dell’altro. Spiega Ammaniti: “Alla logica della società, che è inclusiva, si sostituisce quella del gruppo, o peggio del branco, che è esclusiva. Sempre più spesso anche il social network è un branco. In quella logica si è esclusi se si esclude il fragile, il goffo, il timido, il malato, il disabile, il nero, chiunque sia in una condizione di vulnerabilità”.
Secondo i dati dell’Unicef il 37% dei ragazzi è stato in qualche modo vittima di bullsimo, denotando una grave difficoltà a rapportarsi in modo rispettoso in una relazione.
Inoltre viene messo in evidenza come sempre più nell’attuale società si esclude l’altro per sentirisi inclusi.
Ma comunque una speranza c’è: “Ci può salvare l’impegno. L’etica della responsabilità. Un bene comune da perseguire”, dice Ammaniti.
Un altro passaggio interessante dell’intervista è la risposta alla domanda riguardo al cambiamento nel bisogno di autonomia dei giovani: “Oggi questa fretta non c’è anche perché i genitori non esercitano più tanta autorità, li trattano come fratelli e li proteggono come se ne fossero i sindacalisti?” Chiede Polito
Nella risposta Ammaniti cita una frase dello psichiatra Erik Erikson che a suo parere andrebbe incisa sullo stipite di ogni porta: “Se i genitori non accettano la propria morte, i figli non potranno entrare nella vita”. Spiega Ammaniti come “Il più delle volte sbagliamo proprio per questa paura inconscia. Oscuramente avvertiamo che la loro crescita si accompagna alla nostra fine. E proviamo a impedire entrambe. Perché l’uomo del Duemila, nel suo delirio di onnipotenza, pretende di vivere come se fosse immortale». Fonte: Corriere della Sera, Massimo Ammaniti: “Violenze e social, ecco la società senza geniori”
La questione che appare rilevante è come trasmettere il valore dell’altro anche ai figli unici e a tutti i ragazzi in genere e finanche agli adulti. Infatti avere fratelli non costituisce una garanzia di sviluppare capacità relazionali e sociali. Emerge come la questione centrale è la genitorialità. Come aiutare e sostenere la famiglia a svolgere la sua funzione educativa e sociale quale che sia il numero dei figli.
Si ritiene che la capacità di comprendere e rappresentarsi il punto di vista dell’altro sia basilare in un processo di crescità armonico. Infatti ci si può sentire forti nel prendere qualcuno di mira ma in queste circostanze è assente la capacità di mettersi nei panni dell’altro e di valutare che non sarebbe affatto piacevole se la situazione si svolgesse a parti invertite. Il problema è che molti adulti non hanno avuto modo loro stessi di sviluppare questa capacità in modo adeguato e pertanto potrebbero avere difficoltà ad insegnarla e a fungere da modello nei confronti dei figli.
Scritto da: Letizia ManninoOMS linee guida per la salute dei bambini
Il tema dell’uso delle tecnologie per i bambini è sempre attuale. Di recente sono uscite le linee guida dell’OMS con indicazioni per la salute dei bambini e alcune fanno riferimento proprio all’uso degli schermi. Sempre più spesso i dispositivi digitali vengono utilizzati per intrattenere i bambini anche piccoli e invece occorre prestare maggiore attenzione non solo alle attività che svolgono i bambini ma anche agli effetti per la salute dell’uso di schermi luminosi; inoltre vanno considerati gli effetti per lo sviluppo delle competenze cognitive e relazionali.
Attualmente, oltre il 23% degli adulti e l’80% degli adolescenti non sono sufficientemente attivi fisicamente con diverse conseguenze per la salute.
L’Oms segnala come vada ridotto il tempo passato davanti a uno schermo a vantaggio di altre attività e giochi di movimento. Importanti per lo sviluppo attività come la lettura, puzzle, canto da svolgere insieme a un adulto.
Le linee guida riportano alcune raccomandazioni:
Per i bambini da zero a due anni divieto assoluto di restare fermi davanti a uno schermo, mentre dai due ai quattro anni i bimbi non dovrebbero essere mai lasciati per più di un’ora a guardare passivamente lo schermo televisivo o di altro genere, come cellulari e tablet.
Per i piccoli fino a un anno di età è importante l’attività fisica diverse volte al giorno. Inoltre i neonati dovrebbero dormire in totale 14-17 ore al giorno
I bambini da uno e due anni dovrebbero svolgere almeno tre ore di attività fisica giornaliera e dormire per 11-14 ore in totale.
Tra i due e i quattro anni di età i bambini dovrebbero svolgere almeno tre ore di attività fisica giornaliera e dormire 10-13 ore in totale.
Fonte: Bambini, le linee guida Oms su attività fisica, compotamento sedentario e sonno
Per approfondire:
Scritto da: Letizia Mannino
Rapporto Istat: studenti promossi ma insufficienti…
Di recente è stato pubblicato il Rapporto Istat sugli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile e tra i vari temi affrontati c’è anche l’istruzione. I dati che riportati dovrebbero far riflettere.
Risulta infatti che i ragazzi promossi con una buona media hanno difficoltà nella lettura e nella comprensione di un semplice brano
Solo per citare alcuni dati: in Italia, la quota di ragazzi iscritti al terzo anno delle scuole secondarie di primo grado che non raggiungono la sufficienza nelle competenze alfabetiche è il 34,4% e in matematica del 40,1%.
Le ragazze si collocano al di sotto della sufficienza nelle competenze matematiche (41,7% ragazze contro il 38,5% dei ragazzi), mentre per la lettura la situazione si inverte e il 38,3% dei ragazzi non raggiunge la sufficienza nelle competenze alfabetiche mentre per le ragazze la percentuale è del 30,4%.
Tra gli studenti delle seconde classi delle scuole superiori di secondo grado, il 33,5% non raggiunge un livello sufficiente nelle competenze alfabetiche e il 41,6% in quelle numeriche.
Interessante anche la differenza tra i diversi canali della scuola secondaria di secondo grado: il 17,7% dei liceali non raggiungono la sufficienza nella lettura e il 29,2% in quelle matematiche; tra coloro che frequentano gli istituti tecnici invece sono insufficienti in lettura il 39,6% e in matematica il 42,3%; tra i ragazzi degli istituti professionali il 69,4% che non raggiunge la sufficienza in lettura e il 77,2% in competenze numeriche. I dati risultano correlati anche con le regioni di residenza.
Fonte: Istat, Rapporto SDGs 2019
Scritto da: Letizia Mannino
Parlare favorisce lo sviluppo cerebrale del bambino
E’ importante parlare con i bimbi piccoli per favorire lo sviluppo delle aree del cervello preposte al linguaggio. Illustra l’argomento un articolo pubblicato da ‘Le Scienze’, ‘ Il dialogo adulto-bambino e lo sviluppo cerebrale‘. Uno studio condotto da Rachel Romeo e colleghi del Massachusetts Institute of Technology a Cambridge e pubblicato sulla rivista ‘Journal of Neuroscience’ ha messo in evidenza attraverso un’analisi della scansione di imaging cerebrale l’importanza dell’ambiente nei primi anni di vita ai fini dello sviluppo neurocerebrale.
Contrariamente a quanto messo in evidenza da altre ricerche il fattore cruciale e predittivo per lo sviluppo delle capacità linguistiche non sembra dipendere dallo status socioeconomico ma da un esposizione adeguata al linguaggio nei primi anni di vita. Abitudine del contesto che influenzerà anche le abilità cognitive in età adulta e il livello di scolarità.
Ancora una volta uno studio che mostra l’importanza della relazione con le figure di accudimento ai fini dello sviluppo cognitivo oltre che di quello affettivo/emotivo. E’ importante che i bambini fin da piccolissimi non siano prevalentemente impegnati in giochi ma abbiano la possibilità di passare del tempo parlando e comunicando con gli adulti.
Fonte: Le Scienze, Il dialogo del bambino e lo sviluppo cerebrale
Fonte foto pixabay
Scritto da: Letizia ManninoLe raccomandazioni dei pediatri su smarthone, sonno e altro…
Si è tenuto a Roma il 74° Congresso Italiano di Pediatria promosso dalla Società Italiana di Pediatria. Al centro dell’appuntamento al salute del bambino dalla nascita e per l’intera vita perché come dimostrano molti studi ciò che accade nella primissima infanzia influenzerà il benessere nella vita adulta. Nell’ambito dell’incontro sono stati affrontati diversi temi come l’uso dello smartphone e tablet, i vaccini, il bambino che viaggia, i problemi del sonno ecc.
La società Italiana si esprime con un docuemnto ufficiale circa l’uso dei media per i bambini da 0 a 8 anni pubblicato sulla rivista Italian Journal Pediatrics. Il documento è frutto di un’analisi della letteratura scientifica che ha indagato gli effetti positivi e negativi sulla salute dovuti all’esposizione ai media.
Qualche dato rispetto all’utilizzo dello smartphone: negli Stati Uniti il 92% dei bambini lo usa nel primo anno di vita e a due anni lo utilizza giornalmente. In Italia 8 bambini su 10 tra i 3 e i 5 anni sanno usare il cellulare dei genitori . Il 30% dei genitori si avvale dello smartphone per calmare e distrare i bimbi già nel primo anno di vita.
Ancora una volta viene confermato che i media non sono negativi o postivi in sé ma occorre vedere che impiego ne viene fatto. A questo fine possono essere molto utili le indicazioni fornite dai pediatri che informano in merito a rischi e opportunità.
Importante riflettere su quanto viene segnalato perché gli effetti possono essere a lungo termine. Inoltre è bene ripensare alle relazioni in famiglia perché, come viene segnalato spesso, i dispositivi vengono utilizzati per distrarre i bambini e invece potrebbe essere l’occasione per trovare modi diversi di intrattenersi insieme facendo delle attività.
Fonte dove trovare il materiale:
Società Italiana Pediatria (SIP)
Foto Pixabay
Scritto da: Letizia ManninoTenersi per mano come anestetico
Il quotidiano ‘La Repubblica’ riporta la notizia di una ricerca condotta dai neuroscenziati della University of Colorado, pubblicata sulla rivista scientifica Pnas e riportata dal Times di Londra secondo la quale in una coppia tenersi per mano è un antidoto contro il dolore. Funziona in entrambi i sessi ma l’efficacia è maggiore per le donne.
Inoltre l’effetto di sollievo dal dolore si presenta nelle coppie dove i partner si amano mentre non funzionerebbe nei matrimoni infelici. Il fenomeno si spiega perché le coppie più affiatate quando si tengono per mano le onde cerebrali viaggiono allo stesso ritmo e questo permette di contenere stress e dolore.
L’esperimento è stato condotto su 22 coppie eterosessuali fra i 23 e i 32 anni d’età e tenersi per mano ha ridotto mediamente l’intensità del dolore del 34 %.
Ma non tutti gli studiosi concordano con questi risultati. Per Flavia Mancini dell’Università di Cambridge quello che conta è non sentirsi soli di fronte al dolore, avere una adeguata connessione sociale.
Fonte: La Repubblica, ‘Se una coppia si tiene per mano si riduce la sensazione di dolore’
Foto pixabay
Scritto da: Letizia ManninoL’età della patente
Solo un diciottenne su quattro prende la patente appena raggiunta la maggiore età. Il Quotidiano ‘Corriere della Sera’ pubblica un articolo -‘Mamma dammi un passaggio”. Giovani, la patente non è una priorità – che riporta un’indagine condotta da Facile.it che ha rielaborato i dati rilevati dal Ministero delle infrastruttere e dei Trasporti. Viene evidenziata una differenza fra le ragazze , che in media si mettono alla guida a 21 anni e 9 mesi e i ragazzi che invece guidano a 20 anni e 8 mesi in media. La più alta percentuale di neopatentati a 18 anni si trova in Molise, Basilicata e Campania dove sono il 35% del totale, mentre in Liguria e Sardegna la percentuale scende rispettivamente a 18% e 14%.
Non avendo un dato di comparazione sugli anni precedenti è difficile capire il significato di questo dato. Potrebbe essere coerente con una minore disponibilità economica da parte delle famiglie e un cambiamento di esigenze negli spostamenti. Bisognerebbe avere i dati di quanti ragazzi hanno la patente AM, le patenti A e la B1.
Scritto da: Letizia ManninoLa fragilità fa cambiare le regole a Cambridge
Tutto il mondo è paese? Cambridge cambia le sue tradizioni per non ferire la sensibilità di alcuni studenti? Il quotidiano “Corriere della Sera” riporta nell’articolo «I ragazzi sono fragili», Cambridge pubblica i voti finali solo a richiesta», la notizia che dopo trecento anni in cui gli studenti sono stati informati dei loro risultati tramite pubblicazione degli stessi, la tradizione verrà interrotta. In seguito alle proteste di alcuni gruppi di studenti pare che in futuro la pubblicazione dovrebbe essere subordinata al consenso degli allievi.
Sempre da quanto si legge nell’articolo la decisione sarebbe l’effetto di una campagna, contro i voti esposti, condotta da parte dei rappesentanti di alcuni gruppi di studenti e motivata dall’idea che mostrare i risultati può ledere la privacy e nel caso di ragazzi fragili potrebbe contribuire a creare problemi psicologici come ansia da prestazione, depressione e flessione dell’autostima.
Prendiamo spunto dalla notizia su Cambridge ma il problema educativo oggi è presente in modo diffuso. Forse può sorprendere un po’ che un’Università prestigiosa come Cambridge, dove ci si potrebbe attendere che gli studenti siano consapevoli della competizione, si possa trovare a dover affrontare questo tipo di questioni che mettono in discussione secoli di tradizione.
Anche in questo caso sembra si tenti di superare le difficoltà connesse con il processo di crescita modificando l’ostacolo. La questione che si discute non è l’opportunità o meno di pubblicare i risultati ma se il modo migliore per aiutare dei ragazzi più sensibili e insicuri è quello di modificare lo stimolo disturbante e non piuttosto aiutarli a comprendere qual’è la difficoltà così da poterla affrontare sul nascere, all’origine.
E’ evidente che per gli studenti che hanno problemi di autostima, insicurezza e preoccupazione per il giudizio degli altri (docenti, genitori, compagni), contesti molto competitivi possono rappresentare uno stress e creare ansia. Ma si tratterebbe di approfondire le caratteristche del contesto educativo perché la competizione fa parte della vita; tuttavia, se eccessiva potrebbe portare i ragazzi a privilegiare i risultati piuttosto che l’apprendimento. Quindi studenti meno pronti o che affrontano materie per le quali sono meno versati potrebbero scoraggiarsi senza riuscire a considerare che molto semplicemente per loro potrebbe essere necessario un tempo o un metodo di apprendimento diverso.
Laddove si manistesta un disagio, in questo caso ciò che ha portato alla raccolta di firme da parte degli studenti, sarebbe opportuno cercare di ricostruire che cosa ha costituito un problema in modo da fare un intervento più mirato. Infatti alcune soluzioni rischiano di togliere ‘il sintomo’ e di non modificare la sostanza disturbante del contesto. I ragazzi, in genere, andrebbero aiutati a ricostruire le cause emotive del loro disagio così da comprendere bene i motivi che ne sono alla base. Se pensiamo a un ipotetico studente molto preoccupato del giudizio degli altri è chiaro che preferirà evitare alcune situazioni di maggiore esposizione come l’interrogazione in aula in presenza dei compagni. Se per aiutare il ragazzo si fa in modo che possa evitare la situazione temuta – ad esempio privilegiando i compiti scritti – apparentemente gli si riduce l’ansia, perché viene eliminato lo stimolo, ma non si permette al ragazzo di capire perche la presenza degli altri può essere così inibente, che effetto gli fa la presenza degli altri, in che modo quest’ultima riesce ad ostacolare la concentrazione cosicchè finisce per prestare più attenzione ai compagni in aula piuttosto che focalizzarsi sulla risposta. Provando a individuare i motivi del disagio si può aiutare il ragazzo dell’esempio a cercare di superarlo. Evitare l’interogazione può essere utile solo in una fase transitoria, mentre il ragazzo lavora sulla comprensione del timore dell’interrogazione, così da ridurre lo stress esterno e permettergli di focalizzarsi meglio sulle carattersitiche disagio/preoccupazione che avverte.
Foto pixabay
Scritto da: Letizia ManninoScuola: accompagnati o soli?
In seguito alla sentenza della cassazione che ha condannato la scuola perché un ragazzino all’uscita è stato investito, molti Istituti scolastici hanno ritenuto opportuno applicare la legge e hanno emanato delle circolari che prevedono che i genitori devono andare a prendere i figli alle scuole medie e non ammettono le lettere liberatorie da parte di questi. Diversi quotidiani nelle ultime settimane hanno dedicato articoli all’argomento.
Inevitabile che i provvedimenti presi dalle scuole avrebbero suscitato reazioni. E’ evidente che la famiglia dovrebbe essere responsabile di valutare la maturità del figlio oltre che altri aspetti logistici come distanze tra la scuola e l’abitazione da percorrere eccetera; quindi la decisione di fare andare e/o tornare i ragazzi da soli dovrebbe essere una valutazione dei genitori. D’altra parte se la legge prevede che la scuola ha un obbligo di controllo, da cui la condanna, è necessario che le scuole debbano ‘pararsi’ .
Dapprima la ministra Fedeli ha invitato i genitori a prendere atto che la legge prevede che siano loro a garantire per i figli.
Ma i fatti recenti fanno emergere che quanto prevede la legge non è corrispondente con l’esperienza di fatto che ha lasciato alle famiglie la discrezionalità della decisione; quindi la Fedeli ha fatto presente che modificare lo stato delle cose dovrà intervenire il Parlamento per modificare la legge. Da qui inevitabilmente la necessità di un intervento da parte del Governo. In modo analogo si è espresso l’ex premier Matteo Renzi che ritiene opportuno che la legge venga modifcata la più presto così da rendere ‘legale’ la responabilità delle famiglie circa l’autonomia da concedere ai figli che frequentano le scuole medie.
Per approfondimento:
Corriere della Sera, Fedeli: cari genitori, alle medie dovete prendere i figli. Lo dice la legge
La Repubblica, Scuole medie, Renzi: subito una legge per consentire ai ragazzi di tornare a casa da soli
Foto pixabay
Alunni accompagnati a scuola
Gli alunni delle medie non possono tornare a casa da soli, è quanto prevede una circolare iviata da diverse scuole ai genitori. All’argomento hanno dedicato articoli i diversi quotidiani.
Perché il problema sorge ora? Quando i dati Istat dicono che un ragazzino su due va e torna da scuola da solo; media che scende nelle grandi città a un bambino su 4.
Pare che la questione nasca da una sentenza della Cassazione che nello scorso maggio ha condannato la scuola e il Miur per la morte di uno studente finito sotto lo scuolabus anni fa.
E’ evidente che la sentenza ha avuto delle conseguenze perche i dirigenti scolastici di alcune scuole italiane hanno sentito il bisogno di pararsi rispetto ad eventuali addebbiti di colpa.
Spiega, sul Corriere della Sera, la preside di un Istituto di Roma “ Capisco il disagio delle famiglie e tutti appoggiamo la ricerca di autonomia dei ragazzi, ma poi arrivano giudici e sentenze a sconfessare tutto e per i tribunali la responsabilità di un 13enne è di un genitore o “precettore”, quindi il docente e il suo responsabile».
Mentre un padre davanti alla scuola, si legge sempre sul quotidiano, commenta: “Una follia: sono ragazzini che magari devono fare poche centinaia di metri per tornare a casa e invece alle 14 dobbiamo venire per farli uscire, altrimenti la preside chiama la polizia”.
Infine il commento del pedagogista Daniele Novara per il quale la “circolare è un’idea balzana dettata dalla paura, dalla mancanza di responsabilità pedagogica e dalla burocratizzazione della scuola”.
Purtroppo si verificano queste situazioni quando si confonsono vari piani. In questo caso un aspetto legale è entrato nelle logiche educative del rapporto scuola-famiglia interferendone il rapporto fiduciario. Ma talvolta sono le famiglie stesse che chiamano in causa le responsabilità della scuola e delle istituzioni.
Fonte: